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PRIVET DRIVE Silente ‘s point of view
lo e il nonno parliamo. Il nonno canta io danzo. Il nonno insegna io imparo.( J. Concha)
Dopo uno spiacevole viaggio tra i camini di mezza Inghilterra, da cui avevo potuto osservare festeggiamenti d’ogni tipo per la sconfitta su Tom, venni letteralmente risputato dal camino di Arabella, una anziana Maganò che abitava a Wisteria Walk, vicino alla zona che dovevo raggiungere. Essendo distratto dai miei pensieri, non mi accorsi d’essere arrivato finché non caddi carponi nel focolare. Una volta a casa della donna, mi Smaterializzai senza una parola, troppo triste e rabbioso per salutare, e riapparvi a Privet Drive. Fermo sull’angolo della via sotto il cartello stradale, feci scattare il mio Delumiatore e rapii le luci dei lampioni. Mi avviai lestamente verso il numero 4, il mantello che mi frusciava dietro. In quella via di gente perfettamente normale e abitudinaria, tutto di me era sgradito; ma, dato che nessuno poteva vedermi in quella notte senza luna, la cosa non mi preoccupava minimamente. Un gatto soriano stava ritto sul muretto del giardino verso il quale mi stavo dirigendo. Riconobbi subito la professoressa McGranitt e mi rabbuiai. Odiavo mostrarmi arrabbiato o depresso davanti alle altre persone, perché ero un punto di riferimento per loro. E se un punto di riferimento crolla, crollano tutti. “Buonasera, Minerva” la salutai con un cenno spiccio. Guardai il mio personale orologio senza numeri. Hagrid sarebbe arrivato di lì a poco con i miei bambini. Sarebbe stato un tormento per me abbandonarli, un dolore intollerabile. Eppure dovevo farlo, per il loro bene. Il gatto aveva lasciato il posto a una donna dagli occhiali quadrati, coi capelli color dell’ebano raccolti in una crocchia. “Come faceva a sapere che ero io?”chiese scombussolata la donna. “Ma, mia cara professoressa, non ho mai visto un gatto seduto in una posa così rigida!”. “Anche lei sarebbe rigido se fosse rimasto seduto tutto il giorno su un muretto di mattoni!” rimbeccò la professoressa McGranitt. “Tutto il giorno? Quando invece avrebbe potuto festeggiare?” Non ero stupito in realtà. Minerva non era il tipo che si accontentava di voci e pettegolezzi. Ero certo che non avrebbe creduto alla scomparsa di Voldemort finché non gliene avessi dato conferma. La professoressa McGranitt tirò su rabbiosamente col naso. “Eh già, sono proprio tutti lì che festeggiano” disse in tono impaziente. “Non gli si può dar torto” dissi gravemente. “Per undici anni abbiamo avuto ben poco da festeggiare”. “Lo so, lo so” disse la professoressa McGranitt in tono irritato. “Ma non è una buona ragione per perdere la testa”. A questo punto, mi lanciò un’occhiata obliqua e penetrante, sperando che dicessi qualcosa; ma così non fu. Restavo zitto aspettando che arrivasse al dunque. Sapevo perfettamente cosa le premeva di più sentir uscire dalla mia bocca. Continuò: “Ma siamo proprio sicuri che se ne sia andato, Silente?” “Sembra proprio di sì” risposi asciutto sfuggendo il suo sguardo. Non volevo che scorgesse il tormento nei miei occhi. “Dobbiamo essere molto grati… anche se il prezzo che abbiamo pagato è davvero troppo alto, per i miei gusti” aggiunsi sottovoce, sperando che fosse troppo concentrata sui suoi pensieri per udirmi. “Come dicevo, anche se Lei Sa Chi se né andato veramente... ”. “Mia cara professoressa, una persona di buon senso come lei potrebbe decidersi a chiamarlo anche per nome‼ Tutte queste allusioni a ‘Lei Sa Chi’ sono una vera stupidaggine... Sono undici anni che cerco di convincere la gente a chiamarlo col suo vero nome: Voldemort” la interruppi con uno scatto di rabbia che non riuscii a reprimere. Non potevo sopportare che si avesse paura di pronunciare uno stupido nome. La professoressa McGranitt trasalì. La ignorai. Mi dava fastidio continuare a sentire da tutti pseudonimi per indicare Tom. La professoressa mi scoccò un’altra occhiata penetrante, poi disse: “Quel che tutti vanno dicendo, è che la notte scorsa Voldemort è spuntato fuori a Godrick’s Hollow. È andato a trovare i Potter. Corre voce che Lily e James siano... siano... insomma, siano morti”. Battei con rabbia un pugno sul muretto e tentai di ricacciare indietro le lacrime di dolore che spingevano per uscire. La professoressa ebbe un piccolo singhiozzo. “Lily e James... Non posso crederci... Non volevo crederci... Oh, Albus... ”. Poi sussultò. “E i bambini? A chi verranno affidati? A Severus? Dio non voglia, non sono tanto sicura che Severus sia proprio tornato... E Remus... o Sirius?” “A nessuno di loro” risposi gravemente. Mi tremava la voce. “Severus non prenderebbe mai con sé Harry, anche se io gliel’affiderei con enorme piacere, sarebbe il meglio per loro e per Severus; a Remus non darebbero mai l’affidamento, e tu lo sai... e Sirius... Beh, non potrà prendersi cura di loro”. La McGranitt proseguì con voce tremante: “E non è tutto. Dicono che ha anche tentato di uccidere i piccini. Ma che... non ci è riuscito. Nessuno sa perché né come, ma dicono che quando Voldemort non ce l’ha fatta a uccidere Civa e Harry Potter, in qualche modo il suo potere è venuto meno... ed è per questo che se n’è andato”. Annuii malinconicamente. Pensare a quanto ero stato vicino a perdere i miei piccoli tesori mi bruciava dentro. “È... è vero?” balbettò la professoressa McGranitt. “È strabiliante... di tutte le cose che avrebbero potuto fermarlo... Ma in nome del cielo, come hanno fatto Civa ed Harry a sopravvivere?”. “Possiamo solo fare congetture” dissi tentando di controllarmi. “Forse non lo sapremo mai”. La professoressa McGranitt tirò fuori un fazzoletto di trina e si asciugò gli occhi dietro gli occhiali. Guardai nuovamente l’orologio, nervoso. “Hagrid è in ritardo. A proposito, suppongo che sia stato lui a dirle che sarei venuto qua”dissi tentando di portare la conversazione su discorsi più accettabili per il mio cuore. “Sì” rispose la McGranitt, “anche se non credo che lei mi dirà perché mai, di tanti posti, abbia scelto proprio questo”. “Sono venuto a portare Civa ed Harry dai loro zii. Sono gli unici parenti che hanno” risposi serio fissando lo sguardo sul numeretto di ottone di casa Dursley. Dovevo farlo, non c’era scelta. Era per il bene dei bambini. “Non vorrà mica dire... Non saranno mica quei due che abitano lì!” esclamò la McGranitt balzando in piedi e indicando il N°4. “Silente... non è possibile! Non avrebbe potuto trovare persone più diverse da noi. Harry e Civa Potter... venire ad abitare qui?”. “È il posto migliore per loro” dissi con quanta più fermezza riuscii a trasmettere. Non ero per nulla felice di quella scelta, avrei voluto prendermi io cura di loro, ma non potevo, non me lo avrebbe permesso nessuno. Dopotutto, non erano davvero i miei nipoti. “La zia e lo zio potranno spiegargli tutto quando saranno più grandi. Ho scritto loro una lettera”. “Una lettera?” mi fece eco la McGranitt con un filo di voce, tornando a sedersi sul muretto. “Ma davvero, Silente, crede di poter spiegare tutto con questa lettera? Questa gente non capirà mai Harry e Civa Potter. Loro diventeranno famosi... leggendari! Su di loro si scriveranno volumi, tutti i bambini conosceranno i loro nomi!” “Proprio così” dissi fissandola serio e triste da sopra gli occhiali a mezzaluna. “Ce n’è abbastanza per far girare la testa a qualsiasi ragazzo. Famosi per qualcosa di cui non serberanno il minimo ricordo! Non riesce a capire quanto staranno meglio, se cresceranno lontano da tutto questo fino al giorno in cui saranno abbastanza grandi da reggerlo?”. La professoressa McGranitt aprì bocca per rispondere, poi cambiò idea, inghiottì e disse: “Sì... sì, lei ha ragione. Ma in che modo arriveranno qua i piccini?” “Li porterà Hagrid”. “E a lei pare... saggio... affidare a Hagrid un compito tanto importante?” “Affiderei a Hagrid la mia stessa vita” dissi fissandola con fermezza. “Non dico che non abbia cuore” dovette ammettere la McGranitt, “ma non verrà mica a dirmi che non è uno sventato. Tende a... Ma cosa è stato?” Il silenzio che ci circondava era stato lacerato da un rombo cupo. Mentre percorrevamo con lo sguardo la stradina per vedere se si avvicinassero dei fari, il rumore si fece sempre più forte, fino a diventare un boato. Levammo lo sguardo al cielo e dall’aria piovve una gigantesca motocicletta che atterrò sull’asfalto proprio davanti a noi. Per un attimo, credetti che fosse Sirius. In quel momento l’avrei ammazzato con le mie stesse mani. “Hagrid!” esclamai con tono sollevato quando riconobbi l’uomo a cavallo della moto. “ Finalmente! Ma dove hai preso quel veicolo?” “Un prestito, professor Silente”; e così dicendo il gigante scese con circospezione dalla motocicletta. “Del giovane Sirius Black. Loro ce li ho qui, signore” Repressi uno scatto d’ira. Solo sentire il nome di Black, dopo quello che aveva fatto, mi mandava in bestia. “Ci sono stati problemi?” chiesi tentando di calmarmi. “Beh... ” fece Hagrid vago. “Che cosa?” incalzai allarmato. “Civa si è messa a piangere gridando “Sev” e “Remu” fino a che non si è addormentata mentre volavamo sopra Bristol stringendo il Rubino e... questo” mi porse un distintivo dorato. Lo presi e lessi le iscrizioni che vi erano incise. Sorrisi. “A quanto pare, quando compirà undici anni, Civa diventerà la prima donna 1° Ministro della Magia” disse. “Il destino di questa piccina è molto complicato... ” mi chinai sull’involto di coperte. Una bimba dai lunghi boccoli ebanei e grandi occhi verdi stringeva tra le manine un grosso rubino a goccia che portava legato al collo con una catenella d’oro. Con infinita tenerezza, le tolsi il medaglione e me lo infilai in tasca. La mia piccola Civa… Sotto i ciuffetti di capelli neri che spuntavano sulle fronti dei due bambini, si scorgevano due tagli dalle forme bizzarre, simili a due saette, perfettamente identici. La McGranitt si chinò sui piccoli. “È qui che... ” chiese in un bisbiglio la professoressa McGranitt indicando i due tagli. “Sì” risposi in tono grave. “Queste cicatrici se le terranno per sempre... e saranno loro molto utili”. Mentre la osservavo con un sorriso triste, la bambina si svegliò e socchiuse i grandi occhioni smeraldini. “Nonno!” trillò vedendomi mentre gli occhi le si riempiva di lacrime. “Voglio Sev e Remu, doe sono?!” si mise a gridare, in lacrime, dibattendo i pugnetti in aria. Mi straziava il cuore vederla in quello stato. Come potevo abbandonarla? Era per il suo bene, eppure… in quel momento presi una decisione. Mi chinai su di lei e le sussurrai che da quel momento avrebbe passato più tempo con Severus e Remus. “Me o pometi, nonno Albus?” disse con un filo di voce. Annuii e la bimba con un debole sorriso, si riaddormentò. Guardai i piccini con tenerezza e scavalcai il muretto del N°4. Attraversai il giardino, posai dolcemente i bambini sul gradino, tirai fuori una lettera da sotto il mantello e l’appoggiai tra le coperte che avvolgevano i piccoli. Poi tornai dagli altri due e rimanemmo a guardare il fagottino per un lungo istante. “Be’, io devo riportare la moto a Sirius. Ci vediamo professoressa McGranitt. ‘Notte professor Silente” salutò Hagrid. Rimontò sulla motocicletta e, con un rombo, risalì in cielo e scomparve nella notte. “A presto, Minerva” dissi mentre la McGranitt scompariva e un gatto soriano si allontanava. Mi avviai lungo la strada e, giunto all’angolo, mi voltai. Restituii le luci ai rispettivi lampioni facendo scattare il Deluminatore. “Buona fortuna, Civa e Harry!” gridai poi osservandoli di lontano, sicuro che li avrei presto rivisti. Poi girai sui tacchi e scomparvi.
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